SCATOLE CINESI

i racconti del maestro

L’uomo nel pozzo

Un giorno un uomo cadde in un pozzo. Precipitò per diversi metri e quando raggiunse il fondo si trovò solo e spaventato. Poi si accorse che all’interno del pozzo ce n’era un altro, un po’ più profondo e con un altro uomo dentro.

“Chi sei?”, domandò l’uomo caduto nel pozzo all’uomo sul fondo del secondo pozzo. “Sono un uomo come te. Sono finito anch’io nel pozzo, ma nel tentativo di uscirne sono caduto ancora più in basso, in un altro pozzo, con un altro pozzo sul fondo e un altro uomo al suo interno. Quell’uomo dice che sul fondo del suo pozzo ce n’è un altro ancora, con un altro uomo dentro. Ti prego, aiutami a risalire. Non hai una corda da calarmi per farmi uscire di qui?”.

In un angolo buio del primo pozzo, appoggiata alla parete, c’era una corda di canapa. “No, qui non c’è nulla”, rispose l’uomo nel pozzo. L’uomo nel pozzo aveva visto la corda. Se l’avesse gettata all’uomo sotto di lui e tutti avessero fatto la stessa cosa, in poco tempo sarebbero riusciti tutti a risalire fino al primo pozzo e, con il loro numero, avrebbero potuto attirare qualcuno in superficie cui passare la corda per ritrovare la libertà. Ma l’uomo caduto nel pozzo non voleva rinunciare al suo privilegio di essere più vicino degli altri uomini alla libertà. Smise di guardare verso il cielo, che gli ricordava la
sua prigionia, e cominciò a guardare verso il basso, dove l’invidia degli altri uomini lo faceva sentire potente e privilegiato.

A dire il vero, tutti i pozzi avevano una corda ma tutti gli uomini, pur desiderando salire nel pozzo più alto, si rifiutavano di lanciare la corda a chi stava più in basso. Tutti preferivano soffrire, purché ci fosse un disperato che soffrisse più di loro.

Incontrai quel disperato una sera d’autunno, in un vicolo poco illuminato. Ero uscito con mia moglie, era il nostro anniversario. Le avevo promesso di portarla fuori a cena. Mentre camminavamo sul marciapiede, stretti l’uno contro l’altra per ripararci sotto l’ombrello dalla pioggia battente, lo notai subito. Stava immobile in mezzo al vicolo, sotto l’acquazzone. Aveva il volto coperto per metà da una sciarpa e la mano destra infilata sotto la giacca.

Ci fermammo di fronte a lui. Mia moglie mi guardò e, prima che l’uomo potesse parlare, decisi di offrirgli riparo sotto l’ombrello. Lo prendemmo sotto braccio e tornammo a casa. L’uomo si fece una doccia calda e si mise i vestiti asciutti che gli prestai. Quella sera cenò con noi, a casa nostra, e parlammo sino a notte inoltrata.  Quando si addormentò sul divano, lo lasciammo riposare. Mia moglie prese i suoi vestiti e si diresse in bagno per stenderli. Poco dopo mi chiamò. Quando la raggiunsi la trovai che reggeva la giacca dell’uomo disperato. Dalla tasca interna della giacca, faceva capolino una pistola.

I racconti sono ispirati a 101 storie Zen, NYOGEN SENZAKI e PAUL REPS (a cura di), trad. di ADRIANA MOTTI, ed. Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1973.

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